"Di Ricordi si muore" di Liala


Trama: Lucente Piana è una ragazza deliziosa, piena di vita, che esercita "il mestiere più vecchio del mondo". Prima di cedere per amore a un ragazzo del suo paese che l'ha sedotta e abbandonata, era anche piena di innocenza, ma ormai, approdata a Milano, a servizio di una famiglia sedicente perbene, dopo aver scoperto il vizio, l'ipocrisia e la grettezza dei salotti tutti velluti e dorature, si ritiene più onesta lei a reclamare a clienti occasionali un prezzo ragionevole per il proprio corpo. Ma quando conosce l'amore la sua scelta di vita le sembrerà una condanna: come rivelare all'affascinante diplomatico Henni Dunyl che la donna che lui crede una giovane aristocratica altri non è se non una donna di tutti? La tragedia di Lucente si consuma implacabile, incalzante, pagina dopo pagina, nella magistrale ricostruzione di una figura moderna, vibrante, autentica, cruda, che non lascerà occhi asciutti.


Commento di Lunaria: uno dei romanzi più intensi e drammatici di Liala, dove è descritto con toni vividi e pieni di pathos (oltre che di cinismo corrosivo, che di tanto in tanto fa capolino tra le righe) il calvario esistenziale di una prostituta, Lucente, che si innamora di un uomo che ignora la vera identità della donna perché Lucente è salita su una nave da crociera usando un passaporto non suo e in quella crociera fingerà di essere Daina, una donna benvoluta dalla società perché "moglie e madre", tenendo nascosta ad Henni la sua vera professione. Lucente è uno dei personaggi più intensi e drammatici usciti dalla fantasia di Liala e ci si affeziona molto a questa donna vittima dei pregiudizi della famiglia (che l'hanno cacciata via con sdegno unicamente perché Lucente ha avuto "la sua prima volta" con un ragazzetto in un fienile, prima di essere sposata) che tenta di sopravvivere in una realtà patriarcale dove "una donna disonorata, non più illibata" viene vista con disprezzo e trattata come un oggetto da uomini che vanno e vengono a loro piacimento; mi sono venute le lacrime agli occhi nelle pagine più tristi (i pensieri di morte di Lucente, che ripensa anche alle prostitute che si sono uccise e sono state uccise, e nel tragico finale, un vero pugno allo stomaco della lettrice). Tra tutti i romanzi che ho letto di Liala, questo "Di ricordi si muore" è quello che mi è piaciuto di più insieme a "Bisbigli nel piccolo mondo". 


Gli stralci più belli: "Non sapeva spiegarsi perché tutto il passato le tornasse alla mente proprio quando pioveva."

"E si sentì bella, come non mai. Una bellezza che nessuno vedeva, che le apparteneva, che in quel momento non le rendeva proprio nulla."

"E il cuore cominciò a farle male. Tutta la maschera che si era messa, tutta la commedia che doveva recitare, tutte le finzioni che doveva infilare una dopo l'altra, come tante perle false, la incatenavano, le catene le facevano male, la serravano, le facevano venire voglia di buttarsi in mare."

"In un baleno ricordò le serate di nebbia a Milano: quando il cliente appariva come un fantasma, si delineava a poco a poco: poi diventava realtà perché era salito nella macchina. E il fantasma non era più. (...) E poi capì che aveva davvero paura. Tanta. Perché lei sapeva di non poter mandare avanti quel suo amore: doveva fermarsi così. Lei non poteva, amando, donarsi. Tacevano i sensi. Soltanto la mente e il cuore vivevano. E le dicevano che le sarebbe stato impossibile donarsi a quell'uomo. Non poteva lui essere come gli altri: non poteva lei darsi come agli altri."

"Quella vita che aveva scelto, che aveva subìto, che aveva affrontato, che aveva anche sfidato attratta da una speranza di indipendenza, anche di ricchezza, le appariva ormai nella sua tremenda realtà. Se la sentiva nel sangue, come se lei non avesse ucciso se stessa, ma come se avesse compiuto un delitto contro un innocente. (...) Ebbe voglia di urlare, di lanciarsi verso il vuoto, di detergersi in quel mare straordinariamente tranquillo, e ferocemente azzurro. Un azzurro che la chiamava."

"Sull'Egeo, fatto violastro dal crepuscolo, lei d'un tratto si sentì sola con i suoi pensieri. Ma con una invisibile, terribile, presenza a suo lato. Era la invisibile presenza dell'uomo ignoto che fra qualche giorno si sarebbe accostato a lei nell'automobile."

"Si accorse che il suo dolore assumeva un aspetto impreveduto. Era un dolore di una rigidezza senza scappatoie: come se fosse una spada puntata verso di lei. Se avesse allungato la mano si sarebbe ferita perché non c'era modo di deviare la lama. Bisognava accettare quel dolore. Inutile tentare di disfarsene. Da qualunque parte si fosse girata, il dolore l'avrebbe ferita."

"E poi verrà la nebbia e ci sarà freddo. E quando entreranno nella macchina porteranno odore di terra umida, di abiti umidi, di vecchie sigarette. Avrò freddo. Schifo. Non posso. è come offendere Henni. è come soffocare le ore più belle della mia vita. è uccidere me stessa, la parte migliore di me stessa. Ma allora tanto vale che io aspetti un treno... Non deve poi essere difficile. Che si prova? Un urto. E se poi il treno si ferma, la gente scende, il macchinista dice che lui non ha colpa, tu non senti. Tutto è già concluso. Ma ne avrò il coraggio? Tante di noi l'hanno avuto. Molte sono morte ammazzate, ma molte si sono ammazzate. Qualche volta i giornali non lo dicono nemmeno: come quando si ammazzò Leonia. Bella e giovane, chi sa che cosa le era accaduto. Si buttò sotto un treno. Già. Un treno. Che colpo! Le portò via netta la testa. Era bruna, con gli occhi grigi. Ma i giornali non ne parlarono. Mi pare ci fosse quel giorno una partita internazionale di calcio. Non c'era spazio per una di noi che aveva insudiciato un treno. Era più interessante parlare di calciatori: sani e forti, loro tiravano pedate a un pallone e non lo imbrattavano di sangue."

"Non aveva né fame né sete né sonno. Le ore passavano e lei sapeva che era l'ora di andare al lavoro. Ma sapeva anche, e se lo diceva, che per lei lavorare era ormai impossibile. Se lo diceva con quella tranquillità che precede la disperazione. Ma è anche già rassegnazione."

"Le lacrime scendevano. Forse perché lei era fatta di lacrime e ne aveva tante e tante che dovevano pur traboccare per non soffocarla. (...) Le pareva una cosa tangibile, il suo dolore: che fosse penetrato dappertutto: che sarebbe rimasto, che una parte se lo sarebbe portato via lei morendo, ma una parte sarebbe rimasto sulla terra perché qualcuno potesse piangere sempre la morte di Henni."

"Ma a lei, in quel momento, quella constatazione che riguardava i mandorli le diede tremendo e feroce il senso della sua solitudine. Là, al suo paese, tutti avevano la loro famiglia. Là tutti avevano i loro affetti. Lei, se fosse tornata al suo paese, sarebbe stata sola e se avesse voluto camminare, avrebbe dovuto farlo da sola. Su per i pendii erbosi, tra i lunghi, sottili cipressi, sotto i frastagliati rami di ulivo, lei sarebbe andata sempre sola."



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"LA SCELTA DI LUCENTE" 

UN FINALE ALTERNATIVO PER "DI RICORDI SI MUORE" DI LIALA

SCRITTO DA LUNARIA 

Liala mi perdonerà se stravolgo la sua storia, salvando Lucente da questa fine tragica in un periodo dove la gente sta morendo o di covid o di violenza legislativa... Mi ero affezionata troppo a Lucente e non mi va di saperla morta a quel modo. Ha già passato troppo dolore nelle pagine che precedono la sua morte... Lucente è morta a quel modo per Liala, nella sua mente di scrittrice, e così appare anche sulle pagine del libro, ma nella mia mente Lucente ora e viva e felicemente sposata.

Perciò, cambio tutto il finale...

La storia prosegue come Liala l'ha narrata fino a pagina 145; ma prima di arrivare alle 146 e alle successive... ecco che intervengo io!


E poi guardò a lui e lui, smarrito, chiese e la voce gli tremava: "Che cosa devo fare, Daina?" Lei entrò, tenne la porta aperta. La porta era scorrevole, come lui fu entrato, con un colpo leggero lei chiuse.  E furono soli. E lei attese mentre si sentiva morire, mentre qualche cosa di lei diventava furore. Lui le andò vicino e disse piano: "Daina, perché questa decisione? Se tu vuoi io sono qui. Ma intendi bene: per restare nella tua vita. Non per uscirne." In un lampo, lei si vide di nuovo in strada, a fare quella vita, a sopportarsi quel fetore - fetore di alcool, di volgarità, di alito cattivo, di sudore, di sperma - notte dopo notte, con la neve, con la pioggia. Si vide nuovamente alla mercé di chi comprava il suo corpo per un quarto d'ora, di quelle mani che la palpavano, di quei rantoli animaleschi, di quel cemento sporco e grigio sul quale era condannata a stazionare. E poi si vide, in una realtà alternativa, col velo in testa e l'abito bianco vaporoso di tulle, soffice come una nuvola,  un corpetto immacolato trapuntato di strass e perline, all'altare, di fronte ad un prete, mentre attendeva di rispondere "sì" al "Vuoi tu...?" stringendo il braccio ad Henni, con gigli che rilucevano, candidi, sui marmi grigi della chiesa.  E si vide, sempre in questa realtà ipotetica, mentre preparava pranzi e cene per Henni, aspettando che tornasse a casa dal lavoro.  Infine, si vide china su un lettino mentre cantava una ninnananna al suo bambino, il frutto dell'amore di lei ed Henni. Il tutto passò nella sua mente, alla velocità della luce. E Lucente, in preda ad un'incertezza che la dilaniava, si chiedeva "Cosa faccio? Cosa dico ad Henni? Se gli dico addio, dovrò sprofondare di nuovo in quell'abisso di volgarità, essere stuprata ogni quarto d'ora, ogni notte, ed essere pagata per non gridare. Perché loro, i clienti, non pagano il mio corpo, bensì il mio silenzio.  Se gli dico di restare, dovrò rivelargli chi sono veramente, ed egli mi troverà disgustosa, contaminata da quello sperma rancido di mille violentatori." Henni la guardava, aspettando una risposta. La vide farsi pallida, tremare. "Che avete, Daina?", sobbalzò preoccupato, avvicinandosi a lei per sostenerla. "Oh Henni, non chiedetemelo! Non chiedetemelo!", singhiozzava Lucente. "Daina, ditemi cosa vi tormenta!" "Oh Henni, non posso, non posso!". Grosse lacrime scorrevano dagli occhi di Lucente, facendole colare il trucco; lunghe strisce nere e azzurrognole si formarono sulle guance pallide, come ustioni. "Daina!" E allora Lucente crollò. Non riuscì più a trattenere, la verità sgorgò limpida dalle sue labbra. "Henni! Il mio nome è Lucente! Non Daina! Daina è un'identità fittizia, che ho assunto per illudermi di non essere quella che sono, nella vita di tutti i giorni! Perché su questa nave io sono Daina Huber ma quando mi aggiro per quei vicoli malfamati e torbidi, io sono Lucente Piana, prostituta, taxi girl! Eppure, ti amo, ti amo! Ma tu non ami Lucente, tu ti sei innamorato di Daina!" Henni la fissava in silenzio. Ora che Lucente aveva confessato la verità, Henni avrebbe potuto scegliere cosa fare: se amarla, nonostante il suo passato. Se odiarla, per l'inganno che lei aveva portato avanti. Improvvisamente si sentì svuotata e attonita. Chiuse gli occhi, in attesa del verdetto. "Lucente... io sapevo fin da subito che tu eri una prostituta." Lucente aprì gli occhi, sconvolta. Egli lo sapeva! Lo sapeva fin da subito! "Come...?" Egli annuì. "Sì, Lucente, lo sapevo che, spinta dalla necessità, tu facesti quella vita. Ti vidi una sera, quando, ammalato di una grave depressione, vagabondavo per le strade durante la notte, insonne, cercando la morte. Non trovano più il senso, né il gusto, per vivere.  Stavo per gettarmi da un ponte per farla finita, quando, improvvisamente, ti vidi all'angolo della strada, mentre aspettavi in macchina.  Mi innamorai di te all'istante, anche se nulla sapevo di te. Non ebbi il coraggio di venire da te, perché un tuo cliente già ti importunava, salendo in macchina. E così me ne andai malinconico, ma risoluto a vivere, per merito tuo, per l'incanto della tua bellezza che aveva sconfitto il mio tedio esistenziale riportandomi alla vita.  Le sere successive ti cercai ancora, ma tu non eri mai sola.  E così me ne tornavo a casa, felice di averti potuto ammirare, pur se nascosto, pur se ignoto e sconosciuto a te, la donna dei miei sogni. Ti ho rivisto su questa nave perché Dio o il Destino hanno deciso di offrirmi l'opportunità di amarti." Ella comprese. Comprese tutto.  Si gettò, piangendo lacrime di felicità, tra le sue braccia, baciandolo con tutta la forza del suo amore immacolato.


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