Nota di Lunaria: in queste recensioni
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ho ripetuto più volte che i protagonisti maschili di quei romanzi COMMETTONO DEI REATI e che se vi rivedete nelle protagoniste\avete subito le stesse cose, è meglio se chiedete aiuto perché quelle azioni, quelle parole, quelle situazioni NON SONO AMORE.
Non importa quanto siano "dipinte di rosa confetto": non è amore, è abuso, violenza, manipolazione.
Per questo motivo, pubblico qui alcuni stralci utili per riflettere su se stesse e su questo tipo di abuso, insidioso, che può capitare in certe relazioni.
è possibile uscire da una situazione di violenza coniugale, ma dovete rendervene conto e libri come questo aiutano a farlo.
Riflessioni tratte da
"Lui stesso si meravigliò di quel fiotto di memorie, contrariato che potessero riversarsi incontrollate all'improvviso, arrivando per perseguitarlo, per rammentargli eventi del passato che sarebbe stato meglio dimenticare. Ma nulla si smarrisce veramente nei meandri della mente: benché i traumi possano rimanere nascosti, forse placati, non tutti possono essere sepolti, alcuni si limitano a non farsi notare in attesa di un futuro risveglio" (James Herbert "Stregata")
***
Possiamo domandarci perché i comportamenti violenti sono più frequenti fra gli uomini che fra le donne. I primi studi sulla violenza domestica hanno cercato di trovare un fondamento neurologico per i comportamenti violenti e si è cercato, invano, una specifica localizzazione cerebrale della violenza. Certo, si sa che a livello endocrino un elevato tasso di testosterone, l'ormone maschile, può portare alla violenza e che anche i neuromediatori cerebrali come la serotonina rivestono un ruolo. Tuttavia nessuna dimostrazione biologica può spiegare perché gli uomini violenti lo siano soltanto con la compagna e mai al di fuori della famiglia.
Secondo i fautori della sociobiologia, la violenza nei confronti delle donne sarebbe soltanto una strategia di dominio inscritta nei geni dell'uomo, al fine di garantirgli l'esclusiva dei rapporti sessuali e della riproduzione. Ma se questa teoria fosse vera, non si spiegherebbe come mai non tutti gli uomini sono violenti.
Un'altra ipotesi sostiene che la società prepara gli uomini a occupare un ruolo dominante e questi, se non ci riescono n modo naturale, tendono a farlo con la forza: la violenza sarebbe un modo per controllare le donne. In tal senso, se le ragazze sono litigiose, si dice che sono dei maschi mancati: ruoli sessualmente connotati attribuiscono agli uomini una posizione di potere e di autorità.
Alle donne, vengono attribuiti comportamenti femminili come la dolcezza, la passività, l'abnegazione, mentre gli uomini devono essere forti, dominatori e non esprimere le loro emozioni. Tutto quanto è valoroso, rispettabile, degno di ammirazione appartiene al campo della mascolinità, mentre quel che è debole, disprezzabile e indegno fa parte del femminile (Nota di Lunaria: è anche per questo motivo che per l'ideologia cristiana dio si è fatto solo maschio: non poteva farsi anche femmina, perché essere femmina è qualcosa di indegno e di disprezzabile)
Sembra che una percentuale rilevante di uomini perseguiti penalmente per violenze nei confronti della compagna abbia sofferto di maltrattamenti durante l'infanzia. Alla nascita il cervello non è formato del tutto ed esperienze traumatiche precoci possono alterare l'equilibrio cerebrale. è per questo che i maltrattamenti subiti nell'infanzia possono modificare l'equilibrio del sistema nervoso.
Il medesimo fenomeno è presente anche nelle donne: se hanno subito maltrattamenti o abusi sessuali nell'infanzia, capita che siano violente oppure sono più vulnerabili di fronte ad un'aggressione.
Un'infanzia difficile o carenze affettive sono il retaggio di alcuni uomini violenti ma il loro malessere non deve essere una scusa per distruggere la compagna e non li solleva dalla responsabilità delle loro azioni.
C'è anche la teoria dell'apprendimento sociale, secondo cui i comportamenti violenti si placano osservando gli altri, mentre persistono se sono socialmente valorizzati: se azioni violente non sono punite, non c'è motivo di non ripeterle. Nessun fattore, preso in modo isolato, basta a spiegare perché un individuo è violento. Un trauma infantile può certo creare, tramite stress post traumatico, una predisposizione alla violenza, che potrà essere o meno rafforzata dal contesto sociale e culturale del soggetto. La personalità di un individuo, oltre che dai traumi, è influenzata dall'educazione e dall'ambiente sociale.
Tutti gli uomini violenti hanno la tendenza a minimizzare le proprie azioni, a trovarsi giustificazioni esterne, dando la colpa alla moglie mentre le donne vittime cercano una spiegazione psicologica interna per la comparsa della violenza nel coniuge.
Le cause esterne addotte come giustificazione sono stereotipate: può essere lo stress, preoccupazioni finanziarie, provocazioni della moglie (vere o immaginarie), possono essere il rispetto delle regole religiose e di abitudini culturali: l'uomo è il capofamiglia e la donna deve obbedirgli.
MEGLIO METTERE LA PROVA, IN TEMPI DOVE SU CERTI SOCIAL NETWORK SI SOSTIENE CHE "SONO STATE LE RELIGIONI SPECIALMENTE L'ISLAM E IL CRISTIANESIMO A PORTARE I DIRITTI PER LE DONNE! Sì, Sì, Sì!!!!"
Tuttavia, tutti questi uomini che giustificano il proprio comportamento con una perdita del controllo sono però capaci di tenerlo a bada in società o sul luogo di lavoro. La società continua ad attendersi che gli uomini occupino un ruolo dominante; ora, se si sentono inadeguati o impotenti, possono cercare di compensare la debolezza che avvertono in sé con comportamenti tirannici, manipolatori o violenti in privato. Sono le loro carenze narcisistiche, una scarsa stima di sé, a costruire la base del comportamento degli uomini violenti. Sono la loro fragilità e il loro senso di impotenza interiore a portarli a voler controllare e dominare la compagna.
Si aspettano, come potrebbe attenderselo un bambino dalla madre, che siano le compagne ad attenuare il peso delle loro tensioni, a placare le loro angosce. Dato che non ci riescono, sono viste come nemiche e ritenute responsabili di tutto quello che non va. Questi uomini temono di essere invasi da un'angoscia annichilente e l'atto violento funziona in loro come una proiezione dell'integrità psichica. Il controllo sull'altro, all'esterno, supplisce alla loro mancanza di controllo all'interno.
Per questi uomini la violenza è un palliativo per sfuggire all'angoscia e alla paura, paura di affrontare le pulsioni affettive dell'altro, paura di affrontare le proprie.
L'angoscia da abbandono e la dipendenza
La tensione interna di questi uomini è legata anche alla loro paura infantile di essere abbandonati.Così, qualsiasi situazione che ricordi una separazione provoca in loro sentimenti di paura e di ira. Ciò li rende ombrosi, irritabili, gelosi; rendono la moglie responsabile del loro malessere interiore. L'angoscia da abbandono si domina solo controllando costantemente la compagna e può esplodere in una crisi di gelosia cieca e devastante. Questo crea un circolo vizioso, perché scaricando la rabbia sulla compagna rischiano che lei se ne vada, ma allo stesso tempo non possono separarsi da lei. Il loro comportamento violento ha lo scopo di mantenere la donna al posto suo, in modo da non sentirsi dipendenti affettivamente da lei, mentre in altri, quando sono terrorizzati all'idea di essere lasciati, tentano di farsi perdonare e suscitano nella compagna un atteggiamento protettivo. Alcuni cercano una fusione con la compagna: nel timore di essere abbandonati creano una relazione in cui i due sono uno solo, senza spazio per respirare, senza possibilità di distacco.
Questa è la testimonianza di una vittima: "Mio marito non è per la condivisione amorosa, ma per il possesso. Non esistono limiti fra lui e me. Cerca di incorporarmi a se stesso, di intercettarmi. Non tollero questa presa di possesso di me, allora mi irrigidisco"
Questi uomini provano un senso di impotenza interiore che li porta, esteriormente, a esercitare il proprio potere sulla compagna. Confondono amore e possesso. L'amore non è possesso ma scambio e condivisione. Quando un uomo dice "Ti voglio tutta per me!" può significare che la desidera, ma può anche voler dire "mi appartieni e non esisti senza di me": in tal caso se lei si allontana, corre il rischio di essere punita.
La passione diventa un alibi per giustificare l'eccesso violento.
"Per mio marito io sono come un sostegno. Gli permetto di crescere. Si è avvolto intorno a me come un'edera, e poco alla volta, mi ha soffocato.", testimonia una vittima.
L'arrivo di un figlio, se la donna sembra fondersi troppo con il bimbo, potrebbe mettere in pericolo l'equilibrio psichico dell'uomo che potrà reagire con comportamenti violenti. In certe culture, la virilità si misura col metro della violenza che si è capaci di commettere contro gli altri, specie contro le donne.
La difficoltà che incontrano tutte le donne a lasciare un coniuge violento può essere compresa soltanto tenendo conto dello status della donna nella nostra società e dei rapporti di soggezione/dominio che esso impone. In effetti, se certe donne possono lasciarsi intrappolare in una situazione di abuso è perché sono già in una condizione di inferiorità a causa della posizione sociale. Queste violenze non sarebbero possibili se le loro condizioni oggettive non fossero già definite dal sistema sociale. Malgrado una certa presa di coscienza, la violenza coniugale continua a imperversare e, con il pretesto della diversità culturale, nelle città vediamo addirittura aumentare la violenza sessista: violenze carnali, circonvenzioni, matrimoni forzati, figlie sotto la sorveglianza degli uomini di famiglia, che non esitano a punirle se il loro comportamento non è appropriato.
Vedi per esempio la storia di Naziran o di Suad
Ancora adesso, si continua a vedere gli uomini come attivi e dominanti e le donne come passive e sottomesse. Malgrado la contraccezione e l'aborto, la missione della donna resta la riproduzione (*) Niente di sorprendente se, relegate da secoli nella sfera privata, le donne tardano ancora ad affermarsi e a porre fine alla propria soggezione.
(*) Nota di Lunaria: su modello di "maria, la madonna, la madre di gesù, la serva del signore"
Gli stereotipi della mascolinità e della femminilità (...) al mascolino si attribuiva la forza, il coraggio, la voglia di agire. Il femminino implicava la dolcezza, la pazienza, l'istinto materno (Nota di Lunaria: le caratteristiche di maria) (...) il dominio era accettato perché in cambio l'uomo per principio doveva fornire sicurezza e protezione. L'articolo 213 del vecchio Codice civile recitava: "il marito deve protezione alla moglie che, come contropartita, gli promette obbedienza"
Il dominio degli uomini sulle donne è riscontrabile a qualunque livello sociale (...) laddove tutto ciò che rientra nel campo della femminilità venga svalutato in modo sistematico. Dal momento che, storicamente, l'uomo è sempre stato considerato l'unico titolare del potere e che la donna è sempre stata esclusa (Nota di Lunaria: punto che aveva colto molto bene Carla Lonzi), questo ha condizionato il loro modo di pensare fin dalla culla: "è così perché è sempre stato così!": le donne hanno imparato a impersonare il ruolo che è stato loro assegnato, anche se sminuente.
Troviamo ciò che è stato definito violenza simbolica: "Il dominato assume su di sé, senza saperlo, il punto di vista del dominatore adattando in qualche modo, per valutare se stesso, la logica del pregiudizio negativo" (1)
Un discorso sui rapporti sociali di genere potrebbe sembrare superato visto che da una cinquantina d'anni le donne hanno acquistato un potere maggiore in ambito sociale, e invece i ruoli legati al sesso permangono fondamentalmente immutati. Non va nemmeno dimenticato che, se il patriarcato ha reso gli uomini dominatori, ha anche portato le donne ad essere passive e rassegnate. Il raggiungimento dello statuto di soggetto è difficile per loro. Certo, conformarsi ai ruoli per tradizione riservati alle donne comporta alcuni benefici. Identificandosi con donne fragili, emotive, è chiaro che si dipende dagli uomini, ma si è anche protette da loro. Nel momento di valutare l'ipotesi di una separazione, queste donne avranno paura di ritrovarsi da sole con i bambini, e molto semplicemente, diranno: "Restare è più facile che andarsene!"
La difficoltà delle donne nell'affermarsi può essere un segno del passato non poi così lontano in cui dovevano tacere i propri desideri per conformarsi alle attese della società.
Le donne si forgiano "un me stessa ideale" in funzione delle norme veicolate dalla famiglia e dalla società. è così che alcune di loro, seguendo il modello della madre disponibile e devota, pensano che per tenersi un uomo sia necessario mostrare abnegazione e sottomissione.
Maria è celebrata PROPRIO PERCHé si è proclamata serva e non ha avanzato nessuna rivendicazione di orgoglio e autonomia femminile. Si è fatta strumento di fecondazione, ancella obbediente, silenziosa e abnegata nell'adorazione totale del maschio-dio gesù. Se le donne non capiscono questo concetto NON C'è EMANCIPAZIONE.
Di fronte alla difficoltà che incontrano nell'aiutare le donne vittime di violenza coniugale, alcuni psicoanalisti attribuiscono questo blocco al loro masochismo. Secondo il discorso freudiano, il masochismo femminile sarebbe connaturato all'essere della donna e collegato alla sua passività. Dato che molte donne vittime dell'ambito della coppia hanno subito violenze nell'infanzia, questi stessi psicoanalisti ritengono che tali donne proverebbero "una soddisfazione d'ordine masochistico a essere oggetto di sevizie e cioè ritroverebbero sotto i colpi del coniuge un piacere da vicinanza con il corpo del genitore violento" (2) Attraverso i meccanismi di reiterazione, una persona tende a riprodurre il modello di coppia dei propri genitori.
Ma allora è masochismo "naturalmente naturale nella donna" o è un meccanismo di difesa e di mimesi di ciò che si vede in giro? In tal senso è stato osservato che per un ragazzo figlio di un padre violento con la madre, aumenta la probabilità di essere violento, e nel caso di una ragazza, figlia di un uomo violento, aumentano le probabilità di fidanzarsi con un uomo violento.
Si può pensare che questi bambini abbiano imparato per imitazione che la violenza è normale nella vita di coppia, e un condizionamento dell'infanzia predispone a una dipendenza dello stesso tipo nella vita. Tutti gli specialisti sono d'accordo nel dire che un trauma passato ha preparato il terreno e che dietro l'attuale persecutore si cela spesso un altro persecutore, un persecutore nell'infanzia. La scelta amorosa si compie in genere a partire da problematiche psichiche complementari: una donna che abbia un forte bisogno di aiutare, può scegliere un partner che avrà bisogno di molte attenzioni; allo stesso modo un uomo che ha bisogno di dominare saprà scegliersi una donna che gli sembrerà docile e dipendente.
Sia che avvenga per motivi socioculturali sia per ragioni familiari, molte donne hanno talmente poco stima di se stesse che si collocano subito nello stato di sottomissione. Gli uomini violenti sanno bene come riconoscere il lato protettivo di una donna e come servirsene per giustificare i propri eccessi comportamentali. Se le donne sopportano tanti maltrattamenti è perché sono plagiate e condizionate. Il condizionamento è sociale, ne abbiamo già parlato, ma anche relazionale, come una sorta di addestramento. Quando sono intrappolate in una situazione senza uscita e, soprattutto, subiscono aggressioni imprevedibili, le donne diventano passive, hanno l'impressione che tutti i loro sforzi siano vani. Non riescono a immaginare come potrebbero cambiare le cose e non si sentono capaci di farlo.
Attraverso esperimenti su animali, è stato possibile mettere in evidenza che si tratta di un fenomeno parzialmente psicologico: "Quando un individuo apprende per esperienza di essere incapace di agire sul suo ambiente per trasformarlo a proprio vantaggio, diventa incapace, fisiologicamente, di imparare." A partire da esperimenti sui topi, si era evidenziato l'esistenza, nel sistema nervoso, di un circuito inibitorio o attivatore dell'azione; quando si fa perdere a un topo lo status di dominante, il suo cervello secerne un ormone che blocca i processi di apprendimento. A partire da esperimenti realizzati sui cani, si è descritto il concetto di learned helplessness, traducibile come "impotenza appresa": "All'inizio dell'esperimento, alcuni cani furono muniti di imbragature che impedivano loro di scappare. Poi vennero sottoposti a cariche elettriche, che non erano precedute da alcun segnale e arrivavano in modo casuale. L'indomani, gli animali subirono un addestramento, per imparare a evitare le scariche o a scappare. Il giorno dopo, si rifece l'esperimento iniziale. Un terzo dei cani imparò rapidamente a evitare le scariche elettriche, ma gli altri due terzi adottarono un atteggiamento passivo e non cercarono di fuggire"
I ricercatori ne dedussero che l'atteggiamento passivo di due terzi dei cani era la conseguenza dell'assenza di controllo sulla situazione, che impediva loro di imparare a scappare. Per confermare queste conclusioni, l'esperimento venne ripetuto con alcuni studenti volontari a cui furono imposti rumori insopportabili in modo casuale e con intensità variabile. Man mano che l'esperimento proseguiva, le capacità cognitive degli studenti-cavia diminuirono e nessuno cercò di andarsene, anche se la porta non era chiusa a chiave e loro erano stati già pagati. Uno studio relativo a 403 donne, ha confermato che l'impotenza appresa diminuisce la loro capacità di trovare soluzioni ai problemi e fa addirittura svanire qualunque desiderio di venirne fuori.
Sappiamo ormai che l'impotenza appresa si verifica quando le aggressioni sono imprevedibili e incontrollabili, e non c'è alcun mezzo di agire per cambiare la situazione. Le donne vittime di violenze matrimoniali dicono che non sanno mai quando e perché la tensione comparirà, né per quale motivo si faranno aggredire. Constatano che qualunque tentativo di calmare il partner è inutile dato che la cosa non dipende da loro.
Il concetto di impotenza appresa ci permette anche di capire i traumi pregressi e, in particolare, i maltrattamenti o gli abusi sessuali nell'infanzia, aumentino la vulnerabilità di una donna messa di fronte alla violenza del proprio compagno. Non si tratta di masochismo o di godimento nell'essere vittima ma di un'alterazione delle difese a causa di una passata aggressione.
Mentre sembrerebbe logico pensare che più grave è l'aggressione subita dalla donna, più lei avrà voglia di andarsene, constatiamo al contrario, che più il maltrattamento è frequente e grave e meno la donna ha gli strumenti psicologici per andare via. L'apparente sottomissione delle donne al coniuge violento è anche una strategia di adattamento e di sopravvivenza. (Nota di Lunaria: è possibile ipotizzare che sia un automatismo risalente ai primordi dell'evoluzione umana? Un meccanismo di difesa utile nell'età primitiva, e oggi del tutto inutile, ma che per un qualche motivo giace in forma latente, nell'istinto?)
La difficoltà incontrata dalle donne a lasciare il coniuge violento può essere spiegata anche facendo il parallelo con la sindrome di Stoccolma. Tale fenomeno è stato descritto a proposito di ostaggi che hanno preso le difese del loro aggressore: quando una persona è sottoposta a una violenza non prevedibile, messa in una condizione di impotenza estrema, e non c'è alcuna via d'uscita, alcune particolari difese si attivano in lei e può svilupparsi un senso di identificazione con l'aggressore. Sappiamo che questa reazione di ordine psichico è tanto più comune quanto più a lungo è durata la prigionia, quanto più la vittima è giovane, femminile e quanto più la causa "è giusta" sul piano ideologico. Quando una persona si trova in una situazione in cui la sua vita è in pericolo e non ha alcuna difesa di fronte all'individuo che ha potere di vita e di morte su di lei, finisce per identificarsi con lui. In questo caso la vittima si mette in un certo senso a vedere il mondo con gli occhi del suo aggressore, allo scopo di dominare il pericolo.
Se la Sindrome di Stoccolma è grave anche quando la persona rapita non ha alcun rapporto carnale con il rapitore e il sequestro dura pochi giorni, si pensi agli effetti di tale sindrome su una donna che viva per anni col marito e abbia rapporti con lui. Peraltro, "l'utilità psichica" della Sindrome di Stoccolma funziona paradossalmente da protezione per le vittime, perché impedisce loro una reazione violenta, che le metterebbe in pericolo.
Ci si adatta alla violenza in modi diversi, a seconda delle circostanze. Gli effetti della violenza variano in funzione di due elementi: il livello di minaccia avvertito dalla persona e la frequenza del comportamento violento. La violenza aumenta progressivamente e la resistenza della donna diminuisce; la dipendenza è una conseguenza del plagio e della manipolazione. In questa fase, violenze e gentilezze vengono sapientemente dosate, creando confusione nella psiche della donna. Si può anche verificare l'inversione della colpa: la vittima può pensare che se il partner è violento, la colpa è loro. La "colpa invertita" spesso maschera l'aggressività della vittima che per qualche motivo non può essere rivolta contro l'aggressore. Paradossalmente l'aggressore può anche minacciare di uccidersi, se la donna se ne va.
Il persistere del legame di dipendenza va avanti anche quando la situazione di condizionamento è scomparsa. Più quest'ultima dura, e meno la persona è in grado di sganciarsi, presa com'è tra dipendenza e violenza; le vittime di violenza matrimoniale, come ogni persona esposta ripetutamente a traumi, possono presentare anche molto tempo dopo la separazione, turbe da stress post traumatico: angoscia, attacchi di panico, allucinazioni dove si rivive il trauma. Questi disturbi sono legati a disfunzioni a livello di diverse strutture cerebrali.
(1) Nota di Lunaria: la stessa tematica era già stata trattata da Simone Beauvoir nel "secondo sesso":
"Ciò che al massimo si accordava "all'altro" sesso era "l'uguaglianza nell sofferenza". Questa formula ha avuto fortuna ed è molto significativa: è esattamente quella che usano le leggi Jim Crow (provvedimenti razzisti) a proposito dei Neri d'America [...] L'Eterno Femminino equivale all' "anima negra" e al "carattere ebraico" [...] ma ci sono analogie profonde tra la situazione delle donne e quella dei Neri: un medesimo paternalismo emancipa oggi le une e gli altri, e la casta in passato dominante vuole tenerli al loro posto, cioè al posto che essa ha scelto per loro. è noto il paradosso di Bernard Shaw: l'americano bianco, in sostanza relega il Nero al rango di lustrascarpe: e ne conclude che è capace solo di lustrare le scarpe. Un povero bianco del Sud degli USA ha la consolazione di dire a se stesso che non è uno sporco negro; così il maschio più mediocre si sente di fronte alle donne un semi-dio." Come si vede, il "cosidetto gruppo dominante al potere in quel dato momento" per affermarsi, ha bisogno di abbassare l'altro. E per far questo, ha bisogno di instillare la vergogna del proprio essere al gruppo soggiogato. Nel caso del monoteismo, l'inferiorità femminile è direttamente fatta derivare dai precetti del loro dio: "La superiorità dell'uomo sulla donna è fondata su leggi troppo solide, né vi è virtù femminile che possa farlo crollare. Iddio così volle e le leggi di natura sanzionarono quel divino decreto." (Battistelli Mercuri, "Sulla educazione della donna" 1877)
D'altraparte, è l'idea stessa di dio ad essere problematica. Infatti:
"Quanto più la liberazione delle donne trova e troverà nuovi simboli di Dio, tanto più ci costringerà a riesaminare anche la cristologia. Per secoli essa non è stata altro che una estensione di Dio, l'onnipotente-maschio. è stato un assunto implicito o spesso esplicito dei teologi che Dio non si sarebbe degnato di incarnarsi in un corpo di donna... la percezione liberante deve dunque porre una seria questione all'idea di un'unica incarnazione divina in un essere umano di sesso maschile" (Basil Moore, "Crisi dell'antifemminismo" 1973)
"Finché la mariologia costituisce l'esaltazione del principio della sottomissione e della ricettività purificato da qualsiasi relazione con la femminilità sessuale, liberazione della donna non c'è e non può esserci [...] La mariologia è l'esaltazione del principio della sottomissione e della ricettività, purificato da qualsiasi relazione con la femminilità sessuale [...] Nel patriarcato c'è una buona e una cattiva femminilità. La cattiva femminilità rappresenta la volontà della creatura [...] nel suo stato naturale, la femminilità rappresenta il peccato e tutto ciò che deve essere sottomesso o rigettato. La buona femminilità invece rappresenta la creatura in quanto veicolo passivo della volontà maschile di Dio.[...] La mariologia esalta il femminile verginale, obbediente e spirituale, ma teme tutte le vere donne di carne."
(2) Nota di Lunaria: in questo libro dimostravano che le bambine abusate in famiglie fondamentaliste cristiane associavano il padre a dio, giustificando la violenza subita come "dio mi ha giustamente punito per i miei peccati"
Pagina 6: "Queste donne [...] pongono alla nostra attenzione un fatto tanto ignorato quanto insolito: la violenza contro le donne è una realtà anche all'interno della chiesa; si annida nelle strutture ecclesiastiche, nelle comunità di fede e nelle famiglie cristiane. Tale violenza, inoltre, non solo viene ignorata dalla chiesa ma è anche giustificata dal messaggio che le chiese propagano. In tutto il mondo comincia a farsi strada l'idea che ci sia un nesso tra cristianesimo e la violenza contro le donne."
Pagina 13: "Esiste una serie di motivi per cui la violenza contro le donne, soprattutto la violenza domestica, è coperta dall'omertà. [...] Molte volte la violenza è vissuta dalla donna come un fatto di cui vergognarsi come se lei stessa ne fosse colpevole. Invece di individuare il vero colpevole, la donna spesso si ritiene meritevole, per esempio, delle percosse ricevute."
Pagina 29: "Ancora oggi le chiese continuano a consigliare le donne a sottomettersi con pazienza al marito violento. I pastori e i sacerdoti cui le donne vittime di violenza si rivolgono, adducono i seguenti motivi: che "capo della famiglia è il marito, se gli ubbidisci lui non sarà costretto a ricorrere alla violenza", oppure che "il matrimonio è sacro, e quindi è dovere della moglie far di tutto per mantenere il legame".
Altri motivi teologici tirati in ballo per incoraggiare la donna a sopportare i maltrattamenti suggeriscono che gli abusi sono colpa di lei oppure che la sofferenza la avvicinerà a Cristo" (Imitatio Christi, in gergo teologico)."
Pagina 17-18: "Si può considerare la violenza contro le donne un risultato dei costrutti sociali patriarcali i quali definiscono il rapporto tra donne e uomini come relazione di sottomissione e dominio" [...] Per designare le "strutture moltiplicative di dominio, di sfruttamento e di disumanizzazione" (...) la complessa piramide sociale formata da gradi diversi di dominazione e subordinazione.
Con l'idea del Dio Padre/Dio Figlio Maschio, "la religione ha giocato e gioca tutt'ora un ruolo nella formazione di quelle condizioni socioculturali che permettono di esercitare la violenza contro le donne. [...] Tale violenza deriva essenzialmente da fattori culturali, in particolare, dagli effetti dannosi di alcune pratiche tradizionali legate alla religione che perpetuano la condizione di inferiorità accordata alle donne nella famiglia, nel posto di lavoro, nella comunità e nella società. La religione, quindi, ha partecipato alla costruzione della presunta inferiorità della donna."
Vediamo cosa scrive Mary Daly, una delle prime Teologhe donne a scagliarsi contro il patriarcato del Dio Padre: "L'immagine biblica e popolare di Dio come di un grande patriarca in cielo che dispensa ricompense e punizioni secondo la sua volontà misteriosa, e, apparentemente arbitraria, ha dominato l'immaginario collettivo per migliaia di anni. Il simbolo del Dio Padre, moltiplicatosi nell'immaginazione e ritenuto credibile dal patriarcato, ha, di conseguenza, reso un servigio a questo tipo di società, facendo apparire giusti ed adeguati i suoi meccanismi per l'oppressione delle donne. Se Dio nel "suo" Cielo è un padre che governa la "sua" gente allora nella "natura" delle cose è conforme al piano divino e all'ordine dell'universo che la società sia dominata dal maschio. In questo ambito si verifica una mistificazione dei ruoli: il marito che domina la moglie rappresenta lo "stesso" Dio (Nota: di contro, il mito di Maria perpetra l'idea che la donna sia obbediente e remissiva di natura: "La mariologia dominante santifica l'immagine della femmina come principio di ricettività passiva e l'esaltazione del principio di sottomissione: Maria è simbolo della creatura nella sua totale abnegazione e passività nei confronti della divinità maschile.")
Pagina 23: "Il cristianesimo è nato all'interno della società patriarcale, quella del giudaismo [...] configurandosi nei termini dell'androcentrismo del patriarcato [...] rispecchiava il contesto in cui nasceva secondo il quale l'essere umano sessuato al maschile era il centro e la misura di tutte le cose [...]
(Nota di Lunaria: si pensi allo stesso concetto teologico di Gesù, della natura ipostatica "Vero Dio/Vero Uomo", ma maschio! Gesù è un salvatore maschile, per gli uomini, il principio fallico del cosmo. Non c'è una Dea, non c'è una Redentrice Femminile, di natura ipostatica femminile: "Vera Dea/Vera Donna")
Pagina 25: "La sottomissione delle donne: nella società patriarcale il concetto di "femminilità" viene costruito per poter meglio rispondere ai bisogni maschili. Per avere donne facilmente controllabili, il femminile va costruito in termini di docilità. Meno senso di sé ha la donna, quindi, meglio è."
"La teologia cristiana ha sempre avuto qualche problema ad ammettere la piena personalità della donna, per non attribuirle la dignità umana, ossia l'imago Dei ("immagine di Dio"). Agostino per esempio opinava che mentre l'uomo da solo era immagine di Dio, la donna da sola non lo era, la diventava solo unita col marito."
"l'apostolo dice che l'uomo è immagine di Dio, e per questo gli toglie il velo dal capo ed esorta affinché sia la donna ad indossarlo, dicendo "l'uomo certamente non deve velarsi il capo, perché egli è l'immagine e la gloria di Dio. La donna invece è la gloria dell'uomo." (...) Perché non è immagine di Dio anche la donna? Perché difatti le viene ordinato di velare il capo, cosa che all'uomo, poiché è immagine di Dio, è proibita"
"Invece la donna viene assegnata in aiuto all'uomo, ella non è, per quanto riguarda lei sola, immagine di Dio, mentre l'uomo per quanto riguarda lui solo è immagine di Dio"
IL PENSIERO DI SAN TOMMASO D'AQUINO, PRESO DALLA "SUMMA THEOLOGIAE"
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Pagina 30: "Nel 1528 Luis Vives scrive nel suo libro "Educazione della donna cristiana": "Se per tuo difetto o in suo accesso di pazzia alzasse le mani contro di te, pensa che è Dio a castigarti, e che ciò succede a causa dei tuoi peccati [...] In questo brano, riscontriamo alcuni elementi importanti [...] è a causa dei suoi peccati, che la donna viene maltrattata/la donna deve considerare il marito strumento di Dio" (Nota: appunto, Mary Daly scriveva: Ho già suggerito che se Dio è maschio, allora il maschio è Dio. Il divino patriarca castra le donne finquando riesce a continuare a vivere nell'immaginazione umana.)
Pagina 32: Elementi dell'Età Patristica della Teologia Cristiana, che ritengono la donna inferiore:
1) La superiorità dell'uomo sulla donna in quanto Adamo fu formato prima.
2) La maggiore colpa della donna nella caduta.
3) La comprensione del peccato in termini sessuali.
4) Le virtù richieste alle donne per produrre la docilità femminile. "In silenzio con ogni sottomissione".
Un quinto motivo, e a mio parere, il principale, è che Dio, incarnandosi nel solo maschio, gesù cristo, favorì ed elevò la virilità: il sesso stesso di Dio, che, del resto, si rivela come padre:
(Pagina tratta dal "Malleus Maleficarum", il manuale degli inquisitori, curato da Sprenger e Kramer, domenicani, seguaci di Tommaso d'Aquino)
"[gesù] ha infatti voluto nascere e soffrire per noi in questo sesso, e perciò lo ha privilegiato"
Mary Daly, in "Al di là di Dio Padre", così commenta: "Non è tuttora insolito che preti e ministri cristiani, posti di fronte al discorso della liberazione della donna, traggano argomenti a sostegno della supremazia maschile dall'affermazione che Dio "si incarnò" esclusivamente in un maschio. In effetti la stessa tradizione cristologica tende a giustificare tali conclusioni. Il presupposto implicito - e spesso esplicito - presente per tutti questi secoli nella mente dei teologi è che la divinità non poteva degnarsi di "incarnarsi" nel "sesso inferiore" e il "fatto" che "egli" non lo abbia fatto conferma ovviamente la superiorità maschile."
"L'idea di un salvatore unico di sesso maschile può essere vista come un'ulteriore legittimazione della supremazia del maschio (...) In regime di patriarcato un simbolo maschile sembra proprio il meno indicato ad interpretare il ruolo di liberatore del genere umano dal peccato originale del sessismo. L'immagine stessa è unilaterale per quanto concerne l'identità sessuale, e lo è proprio dal lato sbagliato, perché non contraddice il sessismo e glorifica la mascolinità."
"Ho già osservato che il testo paolino "in Cristo non c'è... maschio né femmina", funziona in questo modo, perché semplicemente e palesemente ignora il fatto che Cristo è un simbolo maschile e perciò a tale livello esclude la femmina."
https://intervistemetal.blogspot.com/2020/04/i-capolavori-di-mary-daly.html
Pagina 38-40: "Dio Padre: dobbiamo tenere conto che l'Iddio delle teologie sadiche, cioè quelle teologie che dipingono Dio come un Padre assetato di sangue e sacrificio, è un Dio prettamente maschile. A legittimare il potere del patriarcato vi è un Dio Padre. Per questo Mary Daly scrive: Il simbolo del Dio Padre, moltiplicatosi nell'immaginazione e ritenuto credibile dal patriarcato, ha, di conseguenza, reso un servigio a questo tipo di società, facendo apparire giusti ed adeguati i suoi meccanismi per l'oppressione delle donne. Se Dio nel "suo" Cielo è un padre che governa la "sua" gente allora nella "natura" delle cose è conforme al piano divino e all'ordine dell'universo che la società sia dominata dal maschio. In questo ambito si verifica una mistificazione dei ruoli: il marito che domina la moglie rappresenta lo "stesso" Dio."
Giovanna, abusata dal padre a 7 anni, a pagina 41 afferma: "mio padre e Dio si assomigliavano". Un terzo delle donne vittime di abusi sessuali confondevano Dio col proprio padre: "Mio padre avrebbe potuto essere Dio", "Anche mio padre voleva essere adorato", "Dio assomigliava a mio padre".
Stralci tratti da
"I padri dispotici appaiono sotto forme di crescente durezza, che va dall'inflessibilità alla crudeltà, che spesso si sovrappongono, tra cui: il dominatore, il tiranno, il prepotente (...) fissa delle regole dalle quali non si può deviare, che non possono essere neppure discusse, dal momento che lui è l'arbitro decisivo di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato in assoluto.
Altri padri si fissano su quello che essi considerano un adeguato comportamento femminile, promuovendo solo la dipendenza delle figlie, denigrando o addirittura proibendo ogni loro sforzo verso il successo e l'autosufficienza. Questi padri vogliono che le figlie corrispondano alle definizioni tradizionali della femminilità, che siano modeste, umili, incapaci di prendere decisioni senza papà. (...) tiranneggia la sua famiglia per mezzo di una guerra psicologica, sottomettendo le figlie. Una simile dominazione include il "terrorizzare", una forma di abuso emotivo che precisa come "minacciare i figli con estreme o vaghe, ma sinistre punizioni, stimolando intenzionalmente una profonda paura, creando un clima di imprevedibile minaccia o ponendo improprio aspettative e punendo i figli per non averle soddisfatte (...) Alcuni padri sono semplicemente sadici, decisi a degradare le loro figlie, a spezzare il loro coraggio e a farle strisciare. (...) Tali donne accondiscenderanno ai desideri di papà, adattando le loro aspirazioni alle sue, dal momento che diverse ambizioni portano alla perdita dell'amore e dell'approvazione paterna. (...) Nei casi estremi di umile sottomissione filiale, la figlia diventerà tanto dipendente dalla dominazione maschile che si legherà a uomini che la maltrattano. Molte donne maltrattate sono partner silenziose e inconsapevoli della violenza che subiscono perché erano state programmate per accettarla.
Pagina 42: "Porre resistenza agli abusi sessuali è ribellarsi contro Dio stesso/così donne vittime di ogni tipo di violenza domestica spesso interpretano la loro sofferenza come la punizione di un Dio Padre che si identifica col marito. Le studiose concordano che l'immagine di Dio Padre legittima una serie di rapporti di potere che sfociano nella violenza contro le donne: l'effetto del linguaggio del Dio Padre, date le nostre strutture sia della società sia della famiglia, è di legittimare il dominio e le violenze maschili e di inibire la rabbia e protesta legittime delle donne contro tale aggressione. Dio Padre funge da garante dell'autorità paterna nella famiglia patriarcale."
Pagina 47: "L'esempio di Maria Goretti non fa altro che aumentare il senso di colpa della donna vittima di abusi: "La religione obbliga le donne a perdonare i loro stupratori, anche se gli stupratori non hanno mai chiesto perdono". Il messaggio di amore e perdono diventa un altro tassello del mosaico dei dettami cristiani che mantiene le donne in una posizione subordinata, vulnerabile alla violenza maschile [...] viene detto di "amare" e di perdonare il nemico aggressore."
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