Romanzi Rosa\Drammi e Feuilleton degli anni Trenta-Quaranta-Cinquanta













TRAMA DI "LA SECONDA AURORA" (1946):

In questa "Seconda Aurora", romanzo che ebbe già in altra veste fervidi consensi di lettori e critici. Lucilla Antonelli ha colto un aspetto singolare della vicenda femminile: quel processo quasi misterioso per cui certe donne, dopo essersi distaccate dall'uomo del loro destino e aver inseguito altri miraggi di felicità, sentono rinascere nel profondo le voci del passato: echi dolcissimi legati alla prima giovinezza, voluttuose risonanze di gioia che il tempo ha come purificate. L'alto nodo drammatico, il sottile gioco delle parti, la vivezza della parola e dell'immagine, conferiscono a questa "Seconda Aurora" una ricchezza di toni e di timbri che nell'opera ormai vasta di Lucilla Antonelli appare particolarmente significativa.

Altre autrici:

Milli Dandolo "La fuggitiva", "La prigioniera", "La donna del mio destino", "L'amata ritorna", "Romanzo di Anna", "Una voce dall'ombra"

Luciana Peverelli: "La donna che ho creato", "Nei suoi occhi", "Violette nei capelli", "Siglinda", "L'amore vestito di seta", "L'uomo che è mio", "Regina senza corona", "Il volto amato", "Incantamento", "La figlia discesa dal cielo", "Concerto appassionato", "Annì dai capelli rossi", "Gli angeli non si sposano", "La lunga notte", "L'Amore di tutta la vita" https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2022/07/lamore-di-tutta-la-vita-di-luciana.html

Carola Prosperi: "L'altro sogno", "Rose bianche", "Graziella", "Il secondo amore", "La maschera d'amore", "Incomprensibile cuore", "La donna forte", "Amanti nel labirinto", "La sua sconosciuta", "Qualcuno ti attende", "Agnese amante ingenua", "Domani ci ameremo", "Il cuore ascolta"

Teresa Sensi: "Donna sola", "L'amore degli altri", "Cieli spenti", "Una tra noi due", "Quando tu non ci sei", "Amore di fine giornata", "Qualcuno ha tardato" 


Per quanto riguarda Baronessa Orczy è l'Autrice del ciclo della "Primula Rossa"


ma io ho trovato "La vendetta di Sir Percy" (1948) e "Un figlio del popolo"





Daniela, "Ti darò la vita" (1951)




Milly Dandolo "La luce nell'anima" (non è stata riportata la data, però)


MARICILLA PIOVANELLI  "Amanti dell'Amore"



"FIORDALISI" DI BICE LOSCHI CECCHETTI (1944)

La stazione, nella incerta luce dell'alba, parve a Fabio infinitamente triste. Anche il caffè, nel quale era entrato per rifocillarsi dopo la lunga notte di viaggio, aveva un aspetto quasi desolato con quegli avventori stanchi e insonnoliti, che sostavano, forse come lui, in attesa di un altro treno, coi camerieri lenti e tediati, con le valigie ammucchiate accanto ai tavolini e il chiarore delle scarse lampade che la luce opaca della mattina nebbiosa veniva, a poco a poco, neutralizzando. Pure era primavera: ma l'inverno pareva incombere ancora su di essa, soffocandone il fremito ansioso, distruggendo ogni gemma, disperdendo ogni tenera fogliolina. Fabio aveva lasciato da qualche giorno una calda città meridionale, luminosa di sole, gaia e ridente, e per questo tutto gli appariva più tetro, pesante, malinconico. Raggiunse una saletta centrale, più tranquilla e raccolta. Non vi era nessuno. Si sedette a un tavolo d'angolo, dopo di essersi liberato dal soprabito e dal cappello, ed estrasse dalla borsa alcune carte che incominciò a sfogliare. Sorbì il caffè, che il cameriere gli aveva nel frattempo portato, accese una sigaretta e tornò a immergersi nella lettura dei suoi appunti. A un tratto, gli parve di sentire la presenza di un'altra persona: alzò gli occhi e incontrò lo sguardo d'una ragazza che si era fermata incerta, in mezzo alla sala. Pareva cercasse qualcuno, con espressione timida e un poco smarrita, perché, infatti, avanzò di qualche passo, poi tornò indietro, dirigendosi verso l'uscita. Dopo qualche attimo, riapparve. Reggeva una grande borsetta di cuoio marrone, un soprabito sportivo e indossava un abito grigio a giacca: le scarpette che calzava, marrone, con alte suole di sughero, rendevano silenzioso il suo passo.  Sui capelli d'un biondo cenere, un poco di sbieco sulla fronte, era posato un mazzo di fiordalisi, fermato dietro la nuca da un nastro di velluto che scendeva a sfiorare le spalle. Anche sul risvolto della giacca, era appuntato un mazzolino degli stessi fiori. Con un solo sguardo, l'occhio di Fabio, abituato ad ammirare la bellezza, tutta la bellezza che può splendere in un sorriso, in una tonalità, in un fiore, si era impadronito di questi particolari. Poi, egli tornò a curvarsi sulle carte. La ragazza, intanto, aveva preso posto a un tavolo non molto lontano da quello che Fabio occupava. Rimase qualche attimo immobile con le mani raccolte in grembo, poi cercò nella borsa il portacipria e si guardò a lungo nel piccolo specchio ovale. Passò sulle guance un poco di rossetto, accentuò con la matita l'arco delle labbra, raccolse sotto il bizzarro nastro di fiordalisi una ciocca che sfuggiva, poi si lasciò andare indietro, appoggiandosi allo schienale del divano. Sembrava stanca, smarrita, ma c'era in tutta la sua persona una irrequietezza quasi dolorosa, che rivelava uno stato d'animo tormentato ed ansioso. Certo, attendeva qualcuno, perché vibrava al rumore di ogni passo e i suoi occhi non si staccavano dall'ingresso. Fabio sembrava assorto nella lettura, ma non riusciva a soffermarsi sulle parole e sulle cifre che scorreva. Gli pareva che, nella grigia mattina, fosse entrato, a un tratto, come uno squarcio di primavere e il suo cuore un po' stanco si riscaldava a quel soffio tepido e dolce, camminando a ritroso nel tempo, quasi cercando, nel passato, qualcosa di quella dolcezza e di quel tepore. Fiordalisi: sì, fiordalisi! Ogni primavera dalla sua lontana fanciullezza riempiva la casa di quei fiori azzurri come un firmamento, che sua madre prediligeva. Sua madre, che era esile e bionda come quella fanciulla e aveva le stesse mani pallide e pure. Piccole mani che tremavano un poco, strette alla tazza accostata alle labbra, dalla quale pareva sorseggiare a stento il contenuto, poichè anche la gola, forse, era stretta da un nodo di angoscia. Chi attendeva nel caffè di quella grande stazione? Perché si era adornata di fiordalisi, se era così triste e disperata? Per chi si era fatta bella? Forse per qualcuno che amava, che non si curava di raggiungerla, che forse non sarebbe venuto mai più. Fabio la guardava, ogni tanto; ma ella non si accorgeva di lui. I suoi occhi, quando si staccavano dall'ingresso, lo sfioravano, privi di espressione, così come sfioravano le lampade ancora accese, i tavoli vuoti, l'inquadratura della finestra, che diventava via via più chiara e luminosa. Il sole scioglieva lentamente la nebbia: forse, oltre quella stazione brumosa, risplendeva sui tetti delle case e sulle cupole delle chiese, accendeva di barbagli i zampilli delle fontane, giocava fra i rami intrecciati degli alberi, illanguidiva i primi grappoli dei glicini. Sole, primavera, giovinezza! Tutto era tanto lontano da lui, dalla sua vita di lavoro e di azione un po' arida e pesante. Pure, era bastato così poco, un mazzolino azzurro posato su una fronte chiara, per accendere nel suo cuore e nel suo sangue un desiderio di gioia, per sciogliere la grigia patina che oscurava la sua anima. Era sceso dal treno stanco, tediato come chi attende nulla di nuovo, di imprevisto, e ora vedeva, come in un sogno, squarci di cielo sereno, bianche nuvole vagabonde, gemme d'argento, rami fioriti. Una coppia di sposi era entrata nel frattempo, e aveva preso posto vicino a lui. Sembravano entrambi felici: si stringevano le mani, accarezzandosi con gli occhi. Lei era giovanissima, né bella né brutta, e lui aveva l'apparenza di un uomo qualunque, come ce ne sono tanti nel mondo, banali e presuntuosi. Pure erano lieti di esistere, di essere uno accanto all'altro, e tutto appariva bello, giocondo ai loro occhi, anche quella stazione tetra, anche quella sala monotona e incolore. Mangiarono avidamente, ridendo e scherzando, senza fare caso ai due solitari immersi in un loro sogno o in un loro rimpianto. Si allontanarono poco dopo, a braccetto, e Fabio ricordò di avere guidato anche lui, in un lontano mattino, una giovane donna che si era appoggiata al suo braccio, innamorata e felice. Ma la giovane donna era morta e la sua mano aveva sfiorato, sì, nel lungo scorrere degli anni, altre mani dolci, altri corpi carezzevoli, ma senza ansia e senza ebbrezza. La gioia sparì dal suo cuore: sparì dagli occhi la visione del cielo azzurro, dei rami fioriti; non rimase davanti a lui che quella fanciulla sconsolata, con un viso pallido e triste, con un mazzolino di fiori senza profumo e senza vita. Ma gli occhi del colore delle foglie morte s'illuminarono a un tratto. Un giovane alto, bruno, vestito con eleganza un poco vistosa, muoveva verso di lei con paso elastico, sicuro. Le strinse la mano e le si sedette a lato, sul piccolo divano di velluto verde. Il sorriso, però, si spense presto sulle labbra giovani e gli occhi dolci si incupirono.





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