Trama: La prova alla quale è costretta la bella figlia del conte di Ruden, Elisabetta, è delle più estenuanti; ma assume aspetti addirittura drammatici quando incominciano a delinearsi le linee del tragico mistero che è il vero oscuro movente di quelle vicende. Soltanto la luce di un appassionato amore potrà diradare le fitte tenebre nelle quali sta per essere avvolta la protagonista di questo romanzo.
"Il giardino alla francese che si stendeva davanti al castello nuovo e costeggiava a sinistra il vecchio castello, in fondo formava terrazza. Tra due balaustrate di pietra verdastra otto scalini, un po' deteriorati ma di bell'aspetto, portavano a un giardino più basso in mezzo al quale si allungava uno stretto specchio d'acqua, tra due bande erbose e due file di bossolo tagliato a coni. A sinistra si vedeva un'aranciera dove vivacchiava ancora qualche vecchio arancio e qualche oleandro. Alla fine dello specchio d'acqua, un piccolo colonnato di marmo rosa si arrotondava in semicerchio intorno ad una statua di Amore armato delle sue frecce. Il giardino terminava con una balaustrata; di lì lo sguardo abbracciava la valle, i pascoli e le alture boscose che precedevano l'alta montagna. A destra di questo giardino costeggiato in parte da praticelli mai tagliati, alcuni scalini, interrotti da strette terrazze, conducevano al parco. (...) Come tutti i Ruden, egli amava la foresta, i suoi magnifici alberi, il mormorio delle acque che scorrevano tra le pietre coperte di musco e la severa solitudine dove pareva sempre aleggiare il mistero. (...) In un'inquadratura di alberi centenari, ancora risparmiati dalla scure dei boscaioli si stendeva un tratto d'acqua dalle sponde coperte d'erba. Lo chiamavano "Lo Stagno delle Cerve". Alcuni di quegli alberi erano così vicini all'acqua che il loro fogliame vi si rifletteva: l'acqua era verde, cangiante, cupa nel mezzo e color verde giada verso le sponde dove si serravano le une alle altre delle leggere canne mormoranti alla brezza. Da una parte affioravano le foglie scure e i fiori bianchi delle ninfee. Là, una mattina d'estate era stata trovata annegata la madre di Elisabetta. A Dafne, contessa di Ruden, piaceva errare per il parco al chiaro di luna; era attratta in modo particolare da quel laghetto dall'aspetto romantico e, senza dubbio nel tentativo di cogliere delle ninfee con le quali amava ornare i suoi capelli biondi, era scivolata e annegata perché inesperta nel nuoto."
"I vecchi fabbricati scuri, i giardini, la spianata col suo specchio d'acqua, avevano del fantasmagorico. Nel parco fiotti di luce argentea s'insinuavano tra il fogliame rischiarandolo di tanto in tanto la penombra dei viali per i quali si incamminava Elisabetta. Benché non fosse paurosa preferì prendere a quell'ora la via più corta, invece dei piccoli sentieri che di solito prediligeva. Ella passò davanti a un'antica casa forestale situata sull'orlo di una stretta radura, dove abitava da molti anni il vecchio giardiniere Anselmo. Il suolo tappezzato di musco smorzava il rumore dei passi. Un fresco umido, dagli effluvi autunnali, veniva dal folto del bosco che la luce della luna non penetrava. Il viale curvò, si restrinse, e lo stagno apparve, placido, brillante, misterioso. Elisabetta si fermò un momento, col cuore oppresso. Da quando era uscita dalla torre, nel giardino, attraverso il parco, lungo il cammino seguito altra volta da Dafne, aveva camminato col chiaro fantasma di sua madre al fianco. Un dolce, adorabile fantasma. Così, in una sera come quella, Dafne aveva calpestato quello stesso suolo, aveva sentito il fresco aroma dei boschi, si era trovata davanti quell'acqua simile a un fosco acciaio levigato, nella cornice oscura della foresta. Poi era andata verso la riva, nel punto in cui galleggiavano le belle ninfee bianche e gialle, e... Un grido si smorzò nella gola di Elisabetta. Dal padiglione sulla riva dello stagno usciva una donna vestita di nero, si avviava lungo la riva, di passo lento. Elisabetta non ne vedeva il viso, ma ora ne distingueva la figura deforme, il dorso contraffatto. Calista di Ruden, secondo la sua abitudine, passeggiava nella notte deserta che nascondeva a tutti la sua deformità. Ella si fermò non lungi dal luogo ove si delineava, sull'acqua immobile, il fogliame stagnante delle ninfee. Qui, un raggio più vivo della luna cadeva su lei e il suo profilo spiccava netto, scultoreo, di una bianchezza di marmo. (...) Calista rimase lì ferma, a guardare l'acqua immobile, come fosse ghiacciata dalla luce azzurrognola, che aveva ucciso la sua cognata. (...) Ma il pensiero di Elisabetta si allontanava adesso da Calista, tornava a sua madre, e per qualche istante ella evocò, con una tragica intensità, il dramma che aveva stroncato la vita di Dafne, in una bella nottata limpide simile a quella. Calista ritornava sui suoi passi. Allora Elisabetta si addentrò nell'ombra del viale e riprese la via del ritorno per non turbare quella fiera solitudine."
"Tra i vecchi alberi sui quali scendeva l'oscurità, lo Stagno delle Cerve riprendeva il suo cupo colore di acciaio opaco. Un vento leggero si alzava, passava sulle canne che sussurravano, increspava l'acqua tranquilla, che aveva troncato tre giovani vite. Un ranocchio gracidò, altri gli risposero, e lo strano concerto animò per un istante la solitudine di quei luoghi votati alla tristezza delle tombe."
Vedi anche https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2023/09/la-luna-doro-di-delly.html https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2020/10/i-romanzi-della-rosa-e-dei-delly.html
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