Dark Ladies e vergini angeliche: il romanzo sentimentale di fine Ottocento


La Contessa Lara, Amalia Guglielminetti, Annie Vivanti: la narrativa sentimentale tra Ottocento e Novecento

Se Carolina Invernizio imbandiva vicende dove intriganti Superdonne sono destinate a proteggere e guidare l'uomo in nome di una consapevolezza morale più elevata,



altre professioniste del romanzo popolare catturavano l'attenzione delle lettrici guidandole alla scoperta dei volti dell'amore per mano di vampire liberty, maghe delle segrete combinazioni erotico-sentimentale, esperte sacerdotesse di mollezze, seduzioni, voragini, follie...
"Circe", "Salamandra", "Libera!", "Quando avevo un amante", "L'innamorata", "Le vergini folli", "La paura di amare", "Il cuore in gioco", "I volti dell'amore", "Cuore infermo" erano i promettenti titoli dei loro romanzi, giocati sulla liaison amorosa e le sue inebrianti libidini (ma la singolarità delle vicende dei personaggi salvaguarda l'etica dominante garantendo la persistenza del ruolo storico della donna - madre e moglie - mentre la ribellione si consuma senza colpo ferire nel perimetro rassicurante dell'alcova) e dominati da figure femminili, voluttuose e corrotte, capaci di trascinare alla perdizione legioni di nobili giovanotti e di assennati padri di famiglia. è la femme fatale di stampo dannunziano, (1) il "tipo" ripreso fedelmente dalle scrittrici di romanzi sentimentali, numerose tra l'Ottocento e il Novecento, che rispondeva ai nomi pretenziosi di Regina di Luanto, Donna Paola, Contessa Lara, ed erano spesso accompagnate dalla fama di una vita turbolenta, quasi come quella delle loro capricciose eroine. Sospesa tra desiderio e dovere è Anna Roti, ovvero la Regina di Luanto, che si separa presto dal marito, patrizio fiorentino; uccisa dall'ultimo dei suoi amanti la Contessa Lara che, poco dopo le nozze, aveva visto cadere in duello, ferito dal consorte, capitano dei bersaglieri, il biondo impiegato di banca cui era legata.


Celebre per la sua romantica e tormentata passione per Guido Gozzano, Amalia Guglielminetti; chiacchieratissima per il suo legame con il potente e in là con gli anni Carducci, Annie Vivanti, figlia di un carbonaro italiano emigrato in Inghilterra, "zingara e fata" che con astuzia seppe trarre vantaggio dalla relazione con il poeta e conobbe fama spropositata ai meriti dei suoi modesti quanto tenebrosi romanzi!



Tanto favoleggiare sull'amore, tra i suoi veleni e le sue essenze, nasceva da riferimenti biografici? Forse: ma tra i motivi che le avevano spinte a prendere in mano la penna vi era soprattutto la necessità di guadagnarsi da vivere. Guarda caso, immerse in follie e languori, molte di queste signore avevano perso, strada facendo, rispettabili e facoltosi mariti oppure non erano mai riuscite a trovarne uno o dovevano sostenere con il loro lavoro qualche giovane amante. Tanto più che, col mutare della condizione femminile, lo scrivere era diventato, per una donna borghese, uno dei pochi mestieri decorosi e accessibili, e perfino, di un qualche lustro mondano!

Argomento prediletto delle loro opere è l'eterno triangolo: all'interno la donna è, senza dubbio, personaggio dominante ma non vittorioso. A trionfare, alla fine, sarà sempre la morale corrente, l'ideologia che vuole la donna voluttuosa destinata alla punizione e alla sconfitta (morte e follia di lei, di lui o di entrambi; abbandoni a catena; disfatta nelle spire del vizio) ed il suo potere sugli uomini, che uno dopo l'altro seduce e abbandona spingendoli alla rovina, al disonore e anche alla morte, non è che illusione. Le autrici non vengono mai meno alle aspettative del pubblico assetato sì di forti emozioni e di particolari piccanti, ma desideroso anche di una conclusione che sancisca un definitivo rientro nei binari della rispettabilità.
Le fatue nobildonne adultere della Guglielminetti, le cavallerizze appassionate e vendicative della Contessa Lara, le salamandre febbrili della Regina di Luanto sono destinate a venir sacrificate comunque, sull'altare della "Donnità" esemplare, dopo aver assolto il loro compito: consegnare alle lettrici una possibilità di evasione, permettero loro un'occhiata complice nei confini del proibito.
E tuttavia avvertiamo talvolta, da parte delle autrici, un tentativo di legittimare le passioni colpevoli delle loro eroine: il sentimento bruciante di Leona, diva del circo di cui si innamora il conte Paolo Cappello che per lei morirà in duello, nel romanzo della Contessa Lara "L'innamorata" (come non sentire in questa vicenda l'eco dello scandalo che portò il nome della contessa alla ribalta delle cronache del tempo?) tende ad essere in qualche modo giustificato. Sembra, insomma, stabilirsi una specie di solidarietà, seppur in sordina, tra autrice e personaggio: alle seduttrici, in un tentativo di assoluzione, si concedono ideali e sentimenti, accorate tenerezze ed utopiche aspirazioni verso la pace domestica. Talvolta, anzi, la simpatia si spinge oltre sino ad inglobare l'intera condizione femminile, quasi uno spiraglio aperto sul brutale asservimento che si esplica in regime patriarcale o nel mercato del matrimonio. Un sentimento di sottile e ironica intimità si fa luce anche altrove, quando il piano dell'autobiografia consente di esorcizzare i miti cari alla società borghese di fine secolo, squarciando il velo della mistificazione e delle ambiguità.
Intravediamo segnali di questa sotterranea comprensione tra donne (scrittrici, lettrici e personaggio: è ovvio che si crea una sottile e complice intesa tra lettrice e scrittrice, tra scrittrice e personaggio, tra personaggio e lettrice) nei romanzi di Annie Vivanti dove a primeggiare è una figura di donna perversa, sensuale, a volte non bella ma caratterizzata da un fascino divorante come Circe o Fosca. Le donne fatali della Vivanti rientrano a buon diritto nella schiera di "vergini" peccaminose e portatrici di morte che sul finire dell'Ottocento traversavano languidamente la letteratura nobile quanto quella di consumo: come avrebbero potuto le nuove leve della narrativa scritta dalle donne per le donne, resistere alle suggestioni decadenti di D'annunzio, del primo Verga, di Zuccoli, di Oriani? (2)



E proprio da queste suggestioni nascono gli arredamenti sontuosi, carichi di ninnoli, le atmosfere grevi di profumi, l'aleggiare dell'oppio, i volti febbrili e lunari, i gesti felini, la cascata di capelli inanellati e serpentini, la continua e inebriante ricerca dell'insolito, del torbido.
Sensibile, dunque, agli imperativi della moda sia nel creare sfondi ed ambienti, sia nel costruire i propri personaggi e ossequiente agli stereotipi del romanzo popolare che connota negativamente la donna amante sensuale, attiva e intelligente ma assolutamente priva di scrupoli, e positivamente la donna sposa, angelica, asessuata e totalmente passiva, Annie Vivanti, si lascia, tuttavia sfuggire una ambigua e patetica comprensione per la "cattiva" : soprattutto sventurata e vittima di un destino crudele è Mura, in qualche modo riabilitata è anche Lady Randolph che, non più giovane, si serve di ogni mezzo pur di trattenere a sé l'amante. E assai poco credibile nella sua parte di maledetta perché "qualche volta è vista dall'autrice con occhi umani; secondo le oscillazioni di una, più o meno sentita, partecipazione emotiva, che si accentua quando le vicende descritte si avvicinano alla rievocazione di vicende personali dell'autrice (certi piccoli mondi inglesi, la nobiltà di campagna) o si accostano a quelli che possono essere stati i suoi sogni proibiti"
Quanto sia inconfessata e inconfessabile questa sotterranea simpatia per le peccatrici, lo testimonia la vittoria finale della sposa madre: una maternità trionfante, onnipotente, proposta come riscatto e cancellazione di ogni colpa, interviene a purgare "capricci e passioni fulminee" e il "flutto spumeggiante di emozioni fantastiche" trasformandoli in dedizione e sacrificio.

Pur scegliendo personaggi inconsueti (la poetessa, la violinista) realizzati fuori dagli schemi permessi ed approvati, la Vivanti non si fa sostenitrice del rovesciamento dei ruoli o prefiguratrice di una tipologia alternativa, finendo per esaltare i più sperimentati loci communes della condizione muliebre: l'amore come polo catalizzatore di tutte le istanze femminili, in grado di tacitare ogni altra fonte di autoaffermazione; la maternità come forza che fagocita e annulla.
Questa immagine di donna, ardente e insana, eternamente sconfitta che è la signora indiscussa del romanzo sentimentale tra i due secoli, si affaccia puntualmente anche nel romanzo rosa, sia pure in versione più addomesticata e adatta alla dimensione del salotto piccolo-borghese e di un pubblico di giovinette e di donne di casa: meno superfemmina dannata, tutta vizi e voluttà, più rubamariti arrivista, civetta senza scrupoli. Venuto meno l'aspetto demoniaco, la più modesta Vampira della narrativa per signorine (sia ella tenebrosa come nei romanzi di Delly, https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2020/10/i-romanzi-della-rosa-e-dei-delly.html sia ella sfacciata e volgare come nei romanzi di Liala) resta comunque a rappresentare l'illecito, la sessualità, insomma, il male e la sua inevitabile sconfitta. Nell'uno come nell'altro caso questo tipo femminile è funzionale ad una massiccia proiezione del proibito fuori di sé, del quale le donne devono necessariamente liberarsi per mantenersi fedeli all'unico ruolo che è loro concesso di ricoprire: la femminilità intesa come maternità sacrificale ha l'obbligo di purificarsi di ogni scoria sessuale, di ogni inclinazione al piacere. Niente di meglio, dunque, che concentrare altrove la voce dell'istinto, la tentazione, l'ebbrezza servendosi di questi materiali pericolosi per costruire l'altra, l'estranea. Oltre a derivare dal romanzo sentimentale fine secolo il tipo e il ruolo della vampira (vedi "Clarimonde" di Gautier, una delle vampire ottocentesche più famose insieme a Carmilla. Nota di Lunaria) la letteratura rosa ha in comune con esso il territorio dell'amore, corroso dal desiderio su cui scava ed erige impalcature, l'attenzione ossessiva per i fatti del cuore colti in tutte le loro sfumature, seguiti passo passo, drammatizzati, ingigantiti, rimaneggiati, assaporati e nonostante tutto incapaci di far esplodere quell'universo chiuso, ovattato ed immobile all'interno del quale essi si svolgono e si giustificano. E soprattutto "fate" benevole e maliziose si dedicano a tradurre in fiabe l'emotività ed il sentimento, alla politica dell'esperienza si sostituisce quella del sogno e in sottofondo risuonano motivi e deliri taciuti e clandestini.

(1) Uno dei "topoi" più accertati è offerto senza dubbio dalla figura della donna dominatrice, incontrastata protagonista di torbide passioni erotiche, consumate in uno scenario di aristocratica eleganza, mentre sullo sfondo i personaggi maschili appaiono immolati sull'altare della sua bellezza. Se i connotati fisici, tra sensuali e ferini, evidenziano l'alterazione degli ideali estetici del Romanticismo, la sua impenetrabilità alle passioni conferma l'esasperazione in senso decadente della teoria del sentimento. Resta chiaro, comunque, che la sua vittoria sul maschio non implica niente di rivoluzionario, nessun processo di disidealizzazione o di superamento dei tabù anche se il suo ruolo è evidentemente compensatorio nei confronti dello squallore piccolo-borghese.

(2) Per un'analisi alle bellezze sataniche vedi questo libro

 
"Secondo codesta concezione della donna fatale, l'innamorato è di solito un giovanetto e mantiene un'attitudine passiva; è oscuro, inferiore per condizione o esuberanza fisica alla donna, che di fronte a lui sta nello stesso rapporto del ragno e della mantide, di fronte al rispettivo maschio: il cannibalismo sessuale è qui monopolio della donna. Verso la fine del secolo l'incarnazione perfetta di questo tipo di donna sarà Erodiade, ma non sarà la sola: Elena le è molto vicina. I miti antichi come quelli della Sfinge, di Venere e di Adone, di Diana e di Endimione saranno chiamati ad illustrare il rapporto che si ripeterà con tanta insistenza nella seconda parte del secolo; la funzione della fiamma che attira e brucia è esercitata dall'uomo fatale (l'eroe byronico) nella prima, dalla donna fatale nella seconda parte del secolo; la farfalla destinata al sacrificio nel primo caso è la donna, nel secondo caso, l'uomo-"

Nota di Lunaria: uno dei personaggi più famosi che incarna la donna fatale (e contrariamente alle aspettative e al clichè, non è per niente bella) è "Fosca" di Tarchetti, una vera e propria "vampira psichica"


ma si potrebbero citare anche le tante eroine sadiane: da una parte le vergini angelicate da immolare (dopo averle vessate con ogni tipo di tortura sessuale) dall'altra le libertine filosofe e spregiudicate "che se la godono".

 Nota di Lunaria: per approfondire le scrittrici erotiche (brave e talentuose, non le ciofeche che vanno adesso) vedi


Aggiungo anche questo approfondimento:

MORALITà OTTOCENTESCA NELLA LETTERATURA SENTIMENTALE DEL PRIMO NOVECENTO

Alle donne, il cui compito principale è la riproduzione, si raccomanda di concentrare le proprie energie all'interno di sé, su un apparato genitale destinato a funzioni materne, piuttosto che disperderle inutilmente in intrighi amorosi, piaceri proibiti o sommo orrore, in esercizi intellettuali (a lungo la medicina ritenne "l'abuso di pensiero e cultura" quanto mai nocivo allo sviluppo e alla salute dell'utero). Meglio, molto meglio l'assoluta indifferenza nei confronti di stimoli ed impulsi sessuali, il cui risveglio potrebbe danneggiarle irreparabilmente e renderle incontrollabili e ribelli.
Non per nulla donne dai forti appetiti sessuali furono, durante l'Ottocento e parte del Novecento, "curate" con l'ablazione della clitoride e delle ovaie, operazione destinata a calmarle, riportarle alla "normale frigidità" e a renderle docili all'autorità maritale.
Si credeva che solo per gli uomini fosse normale avere forti impulsi sessuali e molti medici giunsero al punto di giustificare la prostituzione, sostenendo che la sessualità degli uomini di classe superiore e media doveva pur avere degli sbocchi che non fossero le loro mogli delicate.
Inevitabile che le eroine, buone e cattive, del romanzo rosa (ovviamente di fine Ottocento\primi del Novecento. Nota di Lunaria), figlie della moralità ottocentesca, risentano fortemente dell'influsso di quella che è stata chiamata "la psicologia delle ovaie": la personalità della donna, cioè sarebbe solo un'appendice dell'apparato riproduttivo. Se esso funziona a dovere (ovvero se è insensibile al piacere ma in grado di sfornare regolarmente nidiate di bambini) essa sarà sana di corpo e di mente; invece nel caso in cui i sensi la distolgano dal suo dovere primario, essa sarà malata, socialmente pericolosa, destinata ad una fine prematura, portatrice di morte.
Così proprio quando cultura cattolica e fascismo insistevano nel proporre il corpo femminile come veicolo di maternità, Liala non solo non negava la sessualità delle donne ma offriva loro nei suoi romanzi un corpo da toccare, da accarezzare, al quale dedicare cure, attenzioni e compiacenze apertamente trasgressive nei confronti di una tradizione educativa che proibiva alle fanciulle persino la vista delle proprie nudità. Dai libri di Liala trabocca il piacere di una fisicità che è evidente preludio al contatto erotico.
(Nota di Lunaria: per curiosità, lo pseudonimo "Liala" è stato inventato dal d'Annunzio, uno che di femme fatales se ne intendeva... "Metto un'ala nel tuo nome", le disse. Il vero nome dell'autrice era Liana Cambiasi Negretti; scrisse un'ottantina di romanzi, cinque libri di racconti, vendette due milioni di copie solo per il suo esordio "Signorsì" e le ristampe dei suoi libri durarono per cinquant'anni!)
Anche se le simpatie dell'autrice vanno chiaramente alla donna ardente e passionale, l'indicazione che ella dà alla sue lettrici è di vivere la propria sessualità solo all'interno del matrimonio, così da poter godere di tutti i vantaggi economici e sociali che esso offre. L'alternativa è un disordine sessuale molto vicino alla prostituzione.
Nota: è interessante notare come negli ultimi anni si sia affermato accanto al rosa classico (Delly-Liala) un nuovo tipo di romanzo d'amore di grande consumo, di provenienza prevalentemente anglosassone, nel quale Peccato, Piacere, Avventura sono usciti sfacciatamente allo scoperto (Nota di Lunaria: a partire dagli anni Novanta, poi, è in voga anche il rosa con venature soft horror e paranormali); invece di farli trasparire attraverso una facciata pudibonda, le autrici li rovesciano senza risparmio sulle lettrici. Scene erotiche senza veli, donne che cercano successo e la realizzazione attraverso la carriera e lottano ad armi pari con gli uomini. La conclusione, è ovvio, resta quella matrimoniale, con relativa rinuncia al successo in nome dell'amore. Non più destinati a giovinette sprovvedute, questi romanzi nei quali il sesso ha fatto una clamorosa irruzione hanno evidentemente tenuto conto dell'imponente cambiamento dei costumi e della liberalizzazione sessuale che lo ha accompagnato. 


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